L’estate del 1970 è rimasta impressa nella memoria di Montepulciano come un’irruzione improvvisa e radicale della contemporaneità in una cittadina storicamente legata alla classicità, all’architettura rinascimentale e al ritmo lento delle stagioni toscane. Quell’anno, un gruppo di artisti, curatori e visionari diede vita a “Amore Mio”, una mostra che portò l’avanguardia artistica più estrema tra le antiche pietre di un borgo tradizionalmente associato al vino e alla bellezza classica.
“Amore Mio” non fu una semplice mostra d’arte. Fu un esperimento culturale, politico, poetico, e in molti modi una piccola rivoluzione. È ancora oggi considerato uno degli eventi più iconici della storia dell’arte italiana degli anni Settanta. Scopriamolo insieme.
Il contesto: l’Italia e l’arte alla fine degli anni Sessanta
Per comprendere “Amore Mio”, bisogna fare un passo indietro. Alla fine degli anni Sessanta, l’Italia era attraversata da forti fermenti sociali e culturali. Il ’68 aveva lasciato un segno profondo. Si respirava voglia di cambiamento, contestazione dei valori borghesi, apertura alle nuove forme di espressione.
L’arte non poteva restare indifferente. Nascevano movimenti radicali, si sperimentava con materiali non convenzionali, si rifiutava il concetto di “opera d’arte” come oggetto vendibile. La performance, l’installazione, l’arte povera, il corpo stesso dell’artista diventavano strumenti per comunicare nuove idee.
In questo scenario, l’idea di portare tutto questo a Montepulciano, città nota per il suo rigore estetico e la sua raffinatezza rinascimentale, sembrava quasi una provocazione.
L’idea: arte contemporanea in un borgo classico
La mente dietro “Amore Mio” fu Achille Bonito Oliva, giovane e brillante critico d’arte, che avrebbe poi segnato la storia del contemporaneo con il movimento della Transavanguardia. Insieme a Jean-Christophe Ammann e ad altri intellettuali, Bonito Oliva volle creare una rassegna che non fosse confinata in una galleria, ma che invadesse la città, dialogando o scontrandosi con la sua estetica classica.
L’evento fu finanziato e sostenuto con l’aiuto della locale cantina vinicola Carpineto, che colse in questa iniziativa una scommessa culturale e identitaria, e con l’appoggio dell’allora sindaco, che con grande coraggio accettò di aprire le porte della città a questo esperimento.
Il titolo, “Amore Mio”, sembrava un’affermazione affettuosa e disarmante in mezzo alla carica di rottura che animava gli artisti coinvolti. Come dire: “Ti sconvolgo, Montepulciano, ma lo faccio per amore”.
Gli artisti: il meglio dell’avanguardia italiana
“Amore Mio” vide la partecipazione di alcuni tra i più importanti artisti italiani del momento, molti dei quali sarebbero poi diventati figure leggendarie. Tra questi:
- Michelangelo Pistoletto, con i suoi specchi e il coinvolgimento diretto del pubblico;
- Mario Merz, pioniere dell’arte povera, con le sue installazioni essenziali e cariche di senso;
- Jannis Kounellis, che lavorava con materiali vivi come carbone, ferro, sacchi;
- Vettor Pisani, artista e performer fuori dagli schemi;
- Luciano Fabro, con le sue riflessioni sullo spazio e l’equilibrio;
- Giulio Paolini, che metteva in discussione l’autorialità dell’opera d’arte.
Il risultato fu un vero assalto visivo ed emozionale: opere sparse nei palazzi storici, installazioni nei vicoli, performance nelle piazze. L’intera città fu trasformata in un palcoscenico contemporaneo.
Le reazioni: tra scandalo, stupore e trasformazione
Non tutti a Montepulciano accolsero con entusiasmo l’invasione dell’avanguardia. Alcune opere furono giudicate provocatorie, incomprensibili, disturbanti. Non mancò chi parlò di “oltraggio” al buon gusto e all’identità culturale del luogo.
Ma accanto allo sconcerto ci fu anche molta curiosità, dialogo, apertura. I visitatori, arrivati da tutta Italia, camminavano tra le installazioni con occhi stupiti, cercando di decifrare i messaggi, lasciandosi toccare, interrogare, sfidare.
In molti, col senno di poi, hanno riconosciuto che “Amore Mio” rappresentò un momento di svolta, non solo per l’arte contemporanea italiana, ma per lo stesso modo in cui si poteva pensare il rapporto tra arte, comunità e territorio.
Il lascito: quando la memoria diventa energia creativa
Oggi, a più di cinquant’anni di distanza, “Amore Mio” viene ancora ricordato come un evento seminale, capace di lasciare un segno profondo. Non tanto per le singole opere – molte delle quali erano effimere o site-specific – quanto per lo spirito che le animava.
Quel gesto di portare l’arte contemporanea in un contesto tradizionale, rompendo le barriere tra centro e periferia, tra classico e sperimentale, tra arte e vita, ha anticipato molte delle riflessioni che oggi sono alla base dei progetti culturali più innovativi.
Nel tempo, Montepulciano ha saputo mantenere viva questa apertura, accogliendo mostre, eventi e artisti che cercano un dialogo con la sua storia e la sua bellezza.
Montepulciano oggi: un borgo che sa accogliere l’arte
Passeggiando oggi per Montepulciano, è difficile immaginare lo shock estetico che si provò nel 1970. Ma se si ascolta bene, tra le pietre delle strade, tra i cortili silenziosi e i panorami che si aprono sulla Val d’Orcia, si sente ancora l’eco di quell’estate rivoluzionaria.
E forse proprio per questo Montepulciano è oggi una meta così amata da artisti, scrittori, musicisti. È un luogo che sa accogliere senza trattenere, che sa proteggere la bellezza senza chiudersi al nuovo. È un luogo dove il passato e il presente possono camminare insieme, e l’arte ha ancora spazio per interrogare, provocare, ispirare.
Conclusione: Amore Mio, amore nostro
“Amore Mio” è stato un atto d’amore per l’arte e per la libertà. È stato il gesto coraggioso di chi ha creduto che anche un piccolo borgo toscano potesse essere il centro del mondo, anche solo per un’estate.
Oggi, ricordare quell’evento significa non solo omaggiare la sua storia, ma continuare a coltivare la possibilità del nuovo, la voglia di bellezza, la forza del pensiero critico.
Perché l’arte, come l’amore, non chiede permesso: entra, scuote, cambia. E poi resta, come un seme piantato in profondità.